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Marcatori somatici e firma per essere ricordati

Nel periodo storico in cui assimiliamo più informazioni ma ne ricordiamo sempre meno

Per anni sono stato attratto (culturalmente) da Marco Travaglio.

I miei amici elevavano allo status di propro miti fenomeni come Del Piero e Totti, Eminem, Berlusconi e altri, mentre io avevo Travaglio.

Questo, oltre a fornire una spiegazione ante litteram del mio insuccesso sociale col genere femminile, ci tornerà utile per spiegare il concetto dietro al titolo di questo articolo.

Da ragazzino ero attratto da Travaglio perché aveva uno stile, un suo vocabolario, un suo metodo ben riconoscibile che lo distingueva dagli altri colleghi che facevano esattamente la stessa cosa: ovvero il giornalismo di cronaca e inchiesta.

Stesso mestiere quindi, ma due modi di interpretarlo.


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Cosa intendo per firma?

Avrei potuto leggere qualcosa di Travaglio senza sapere fosse sua, avrei comunque riconosciuto la sua “penna”.

Travaglio era una grande firma. (oggi scrive meno e comanda di più, per questo il tempo verbale è alla forma passata).

Ma per firma non intendo il nome o la firma materiale a fine articolo o post. Intendo altro.

Intendo la forma del contenuto (breve, lungo, interrogativo, di ispirazione eccetera), il registro linguistico, quindi l’uso voluto di una parola anziché un’altra, il tono di voce (mi pesa dirlo, ma ad esempio Selvaggia Lucarelli ne applica uno che oggi funziona tantissimo), l’obiettivo del contenuto, l’uso di elementi visivi.

Intendo il mix sapiente di tutto ciò.

E badiamo bene, non intendo l’uso dello stesso template grafico per ogni contenuto, come gli esperti-di-copia-e-incolla-di-concetti-su-Instagram spiegano.

Parlo di anima del contenuto, e per quanto sui social il cervello preferirà sempre foto o video, c’è da ribadire che un testo potente non avrà mai rivali.

Un testo che ha un’anima e un obiettivo preciso, sarà pur sempre indimenticabile. Il testo, seppur scritto da un altro, ci può appartenere, mentre l’immagine e il video no.  

Marco Travaglio aveva quel dono di raccontare aneddoti che attestavano lo sfascio totale del nostro paese, con un’ironia che prima ti faceva ridere di impulso, e poi ti restituiva un pungo nello stomaco che ti portava a riflettere.

Un’ironia nuda, cruda e a volte paradossale. Questa era la sua firma*.

Una grande firma può piacere o no, ma sarà comunque riconoscibile, e fidatevi, nel marasma contenutistico di oggi questo aiuta parecchio.


* Da ragazzino, durante le noiose ore scolastiche, quando sognavo di fare il giornalista facevo questo giochino – esercizio da cui poi facevo partire riflessioni per migliorare la mia scrittura e trovare il mio stile. Prendevo un giornale, leggevo titolo e firma dell’editoriale e provavo a riscriverlo come se io fossi quell’autore (ovviamente solo se avevo già letto in precedenza qualcosa di quell’autore), per vedere quanto ci andavo lontano da quello che era poi l’editoriale originale. In seconda battuta poi, riscrivevo per la seconda volta l’editoriale come se avessero incaricato davvero me di farlo, senza condizionamenti o giochini vari. Infine, paragonavo il mio all’originale. Era il mio modo per esercitarmi, sperimentare e confrontarmi con i grandi maestri, come se fossero lì con me, nella stessa stanza.

Cosa sono i marcatori somatici e come usarli

I marcatori somatici ci tornano utili nel discorso di memorabilità della comunicazione.

Sono associabili alla pubblicità tradizionale, possono essere applicati alla comunicazione video e visual, quindi difficilmente si sposano con la scrittura ma può sempre tornare utile sapere cosa sono.

I marcatori somatici sono come dei segnalibro, delle scorciatoie cognitive che delineano le scelte che fa il nostro cervello, basandosi su esperienze passate positive e negative.

Anche se non ce ne accorgiamo, i marcatori somatici si attivano ogni volta che prendiamo una decisione o dobbiamo fare un acquisto.

Per quest’ultima ragione sono fortemente voluti dai pubblicitari che realizzano i commercial per brand.

Per rendervi un’idea, un esempio è il bambino delle ruote della Michelin o lo stesso omino del brand, pensati e scelti perchè restituiscono al brand una percezione di sicurezza, affidabilità e garanzia.

Così come il celebre Labrador del marchio di carta igienica. Il cucciolo di cane è stato scelto perché associabile all’esperienza di crescita della famiglia e all’insegnamento dell’uso della toilette. Questa associazione, davanti allo scaffale del supermercato nel momento della scelta d’acquisto, influenzerà la nostra decisione ma sarà un gesto dettato dall’inconscio.

I marcatori somatici, a differenza della firma, sono un meccanismo più cervellotico che viene studiato non a caso nella scienza del Neuromarketing.

A proposito di questa disciplina, vi consiglio il libro “Neuromarketing” di Martin Lindstrom. Testo da cui è tratto l’ultimo esempio che vi sto per fare.

L’autore del libro racconta di quando era in Danimarca più di una ventina di anni fa e lavorava per un’agenzia pubblicitaria. In quel periodo si sarebbe esibito per la prima volta nella nazione nordeuropea il “nostro” Luciano Pavarotti.

Ma proprio all’ultimo Pavarotti dovette disdire la performance artistica a causa di problemi alla gola.

In quell’occasione di depressione per il paese, Lindstrom convinse un produttore di caramelle per la gola, nella fattispecie Gajol, ad acquistare spazi pubblicitari su cartelloni e riviste con il claim “Se solo Pavarotti avesse conosciuto Gajol”.

Un episodio negativo è stato ribaltato dal punto di vista del brand e oggi quel marchio di caramelle viene ancora ricordato per questo episodio.

Visto?

Ci serve una firma o un marcatore per guadagnarci la memorabilità.

Luigi Di Maso

Sono la somma delle 5 persone che frequento di più, il prodotto delle reazioni ad alcuni episodi importanti che hanno influenzato la mia vita e il riflesso culturale di quello che ho letto negli ultimi anni. Ma anche un pugliese da 8 anni a Firenze, classe 1991. Digital Media Editor per lo Sport, soprattutto il calcio.

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